Le nostre interviste

Il nostro contributo al progetto dell’Anolf di Varese è consistito in una serie di interviste a stranieri che vivono e lavorano in Italia e che rappresentano paesi che ancora mancavano nell’elenco del progetto.

Riportiamo qui di seguito le nostre interviste che sono nate da un incontro a scuola dell’intera classe con loro. Le fotografie sono di Michela Guenzani e di Laura Gentile della classe 4BS.

Soggetto: Grace Kantengwa

Paese: Rwanda

Fotografo: Michela Guenzani

Intervista di Matteo Di Trolio

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Sono nata in Rwanda nel 1956 ma non ho vissuto molti anni lì perché, nel 1959,  è scoppiata la guerra e sono scappata in Uganda. Ho frequentato per qualche anno la scuola ma, poiché ero una profuga, non ho potuto accedere all’istruzione superiore. A dodici anni sono andata a lavorare presso un medico italiano come baby-sitter però avevo voglia di studiare. Sono stati i Comboniani a darmi la possibilità di venire in Italia  e riprendere gli studi presso l’Istituto alberghiero. In Italia mi sono sposata e ho ho avuto due figlie. Ora lavoro come infermiera e sono molto felice. Nel 1994 è scoppiata nuovamente la guerra nel mio paese e c’è stato un vero e proprio genocidio. Nel 1995 sono tornata nel mio paese e ho trovato una situazione drammatica. Ho allora deciso di fondare l’Associazione Inshuti Italia-Rwanda onlus per aiutare i bambini. Oggi il Rwanda è un paese in pace e che sta riprendendosi anche economicamente; mi piacerebbe tornare a vivere lì ma la mia vita è qui in Italia e soprattutto è da qui che posso aiutare meglio il mio paese.

 

Soggetto: Flora Muteteri

Paese: Rwanda

Fotografo: Michela Guenzani

Intervista di Matteo Di Trolio

Flora

Sono nata in Rwanda nel 1998 e sono arrivata in Italia sei anni fa perché avevo un brutto tumore che nel mio paese non erano in grado di curare. Grazie alla Associazione Inshuti Italia-Rwanda onlus ho avuto la possibilità di trasferirmi qui dove sono stata operata e ho ricevuto tutte le cure necessarie. Ho frequentato tre anni di scuola media dove, a causa dell’età, ho avuto difficoltà all’inizio di inserimento per la lingua. Non mi sono arresa e adesso frequento il terzo anno dell’Istituto alberghiero. La mia famiglia è rimasta in Rwanda ma è contenta di sapere che qui sto bene e che sto facendomi un’istruzione. Non so se tornerò nel mio paese un giorno; per il momento penso a studiare e a costruirmi un futuro.

 

Soggetto: Natalia Carpenco

Paese: Moldavia

Fotografo: Laura Gentile

Intervista di Elisa Fava

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Sono nata nel 1981 a Falesti in Modavia, all’epoca parte della Repubblica Sovietica dove le lingue madri erano il russo, il moldavo e il rumeno. In quel periodo i bisogni primari erano quantizzati come i pasti e l’acqua per lavarsi, quest’ultima disponibile per sole due ore a settimana. Infatti, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, la Russia tagliò drasticamente i servizi come la luce e, per poter studiare, utilizzavo la candela, che adoperavo anche per suonare il violino. Dopo aver studiato per sette anni presso il collegio musicale, mi diplomai come maestra di violino. I miei rapporti con l’Italia iniziarono quando mia sorella partecipò ad un festival, in cui incontrò colui che sarebbe diventato il suo futuro marito. Nel 2003 mi trasferii in Italia, dove però misi da parte il mio violino per occuparmi di un anziano. In seguito lavorai come interprete, riuscii a prendere la patente e per ottenere il permesso di soggiorno trovai mansione presso una sartoria. All’improvviso mio padre morì in Moldavia e durante il suo funerale venni a conoscenza del fallimento dell’azienda presso cui lavoravo e mi ritrovai indebitata. Attraverso diverse attività tuttavia riuscii ad ottenere un guadagno adeguato al mio mantenimento.Iniziai a dedicarmi alla pulizia delle ville e all’assistenza degli anziani, in particolare di uno che ricordo ancora con grande affetto perché mi ha insegnato molto umanamente. Attualmente, dopo tante difficoltà, lavoro presso il Liceo Musicale “Giuseppe Verdi” di Luino dove insegno violino. Sono mamma di una bambina di sei mesi. Posso dire di essere sono molto contenta della mia vita.

 

Soggetto: Aleksandra Damnjanovic

Paese: Serbia

Fotografo: Michela Guenzani

Intervista di Eleonora Amolari

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Sono arrivata in Italia nel 1989 in seguito al crollo del muro di Berlino e quindi dell’URSS.In Jugoslavia si respirava un’aria di guerra e di tensione e sapevo che, se fossi rimasta lì, avrei dovuto rinunciare a tutti i miei sogni perché in quella situazione era impossibile pensare al futuro in modo positivo.Decisi allora di partire, lasciando il mio paese e i miei studi di perito chimico per raggiungere mia madre che lavorava già in Italia.Iniziai allora a lavorare come badante, ma poi tornai a Belgrado per studiare come infermiera, ma ho dovuto affrontare molte difficoltà per vedermi riconosciuto in Italia il diploma. Grazie però alla mia tenacia sono riuscita a ottenere l’attestato e così ho potuto smettere di lavorare come badante per iniziare a dedicarmi all’ambito medico.Questa lentezza dei processi burocratici riguardanti gli stranieri ha contribuito a farmi pensare che l’Italia sia un paese politicamente corrotto e purtroppo anche molto razzista, dove uno straniero è giudicato in base a pregiudizi e luoghi comuni e non alla storia che si porta sulle spalle.In mezzo a tutto questo però ho trovato una famiglia che mi ha accolto come se ne facessi realmente parte e che mi ha aiutata ad avere il tanto desiderato permesso di soggiorno.Grazie a loro e a mio marito oggi considero l’Italia la mia casa, nonostante non sia nata qui. Oggi posso dire di essere soddisfatta della mia vita anche perché negli ultimi anni ho potuto coltivare la mia vera passione, la letteratura. Sono infatti riuscita, nel 2006, a pubblicare il mio primo libro e nel 2015 a realizzare uno dei miei sogni: ho creato, insieme ad altri volontari, il premio letterario internazionale “La Rondine”, che premia i giovani scrittori che dimostrano talento ed originalità nella scrittura.Sono veramente orgogliosa di questo progetto e del numero sempre crescente di giovani che si appassionano alla scrittura.In seguito alla mia esperienza, il mio consiglio è quello di non arrendersi davanti alle difficoltà,di non accontentarsi e di avere sempre nuovi sogni da realizzare, perché, se si desidera veramente qualcosa, si riesce ad ottenerla.Proprio per questo motivo ho anch’io un nuovo sogno:aprire una mia casa editrice.

 

Soggetto: Schneeberger Gerda, 54 anni

Paese: Austria

Fotografo: Michela Guenzani

Intervista di Roberta Defilippo

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La prima volta che vidi l’Italia fu con la scuola; eravamo andati in gita nel Sud Tirolo in Trentino. Rimasi così entusiasta di quell’esperienza che decisi di tornarci. Tempo dopo infatti, durante l’estate, feci un viaggio con degli amici: percorremmo tutta la penisola, dal nord fino alla punta della Calabria. Visitai città storiche come Firenze e Roma e rimasi talmente colpita che decisi che quel paese sarebbe diventato la mia futura casa. In Austria non avevo alcun problema economico o finanziario e infatti, quando decisi di trasferirmi definitivamente, i miei genitori rimasero scioccati. Fui l’unica della famiglia a partire e arrivai in Italia nell’agosto del 1990 insieme a mio marito, che nel frattempo avevo conosciuto in Svizzera anni prima quando lavoravo come ragazza alla pari. Non sapevo parlare italiano, ma frequentai dei corsi serali a Milano e in poco tempo imparai la lingua. Trovai il mio primo impiego presso la ditta tedesca “Bayer”e così iniziò la mia permanenza in Italia.
Attualmente sono una insegnante di madrelingua tedesca presso il Liceo “Marie Curie” di Tradate e ho due figli: Michele di 22 anni e Nikolas di 17.
Qui viviamo bene, ma sono un po’ pentita della scelta che ho fatto, perché, a distanza di anni, avendo compreso il sistema economico-sociale Italiano, mi sono resa conto che l’Austria offre molto di più.

 

Soggetto: Sachie Kimura

Paese: Giappone

Fotografo: Michela Guenzani

Intervista di Erica Ranzato

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Sono nata nel 1975 a Furukawa-shi in Giappone. Vivo inItalia da quindici anni  e sono partita dal mio paese per venire qui per motivi di lavoro. Sono infatti laureata in fisica nucleare e, grazie a contatti tra l’università giapponese e quella italiana, sono arrivata a Catania dove ho vissuto per otto anni. Attualmente abito a Rho con mio marito, che è italiano, e con mia figlia di sette anni. Lavoro come docente di comunicazione interculturale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e insegno anche al Legnani di Saronno al corso extracurricolare di giapponese. Non ho avuto molte difficoltà di inserimento e in Italia mi sono trovata subito bene. Ho imparato la lingua italiana come autodidatta. Circa una volta all’anno torno in Giappone per rivedere i miei genitori e mia nonna.

 

Soggetto: Susanna Maugeri

Pese: Germania

Fotografo: Laura Gentile

Intervista di Sofia Martegani

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Sono nata in Germania, a Stoccarda. Mio padre è italiano e mia madre tedesca; sono venuta in Italia all’età di 7 anni durante le vacanze di Natale insieme ai miei genitori e alle mie tre sorelle. L’azienda di mio padre era tedesca e aveva una filiale a Saronno con un buon collegamento autostradale per la Germania.Appena arrivata, il problema maggiormente riscontrato è stata la lingua, perché mia madre aveva sempre vissuto in Germania, mio padre era spesso via e noi eravamo piccole, non sapevamo l’italiano, ma abbiamo dovuto impararlo.A scuola è stato difficile capire e legare con gli altri ragazzi e, infatti, per un anno intero passai tutti i giorni accanto alla cattedra così la maestra poteva aiutarmi.Inoltre mi sentivo esclusa dal resto della classe. Mentre tutti trascorrevano del tempo insieme, per me era complicato conversare o fare amicizia e faticavo molto nel fare i compiti, però ero molto brava in matematica nonostante capissi poco le spiegazioni.Eravamo un gruppo a parte, eravamo tedeschi, quindi stranieri, ma fortunatamente al giorno d’oggi i tedeschi non vengono più visti così.In seguito ci trasferimmo ad Uboldo dove frequentai la scuola media e lì sentimmo la vera differenza, poiché erano tutti del posto e non c’erano stranieri, per loro eravamo “i crucchi” e tutti ci attribuirono quel nominativo.Una prima impressione? Beh la mia impressione riguardo l’Italia non è una delle migliori; la maggior parte dei luoghi sono davvero belli, anche se gli italiani non sono molto rispettosi dell’ambiente. Così come la vita: bella, ma improvvisata. Soprattutto nelle grandi città sono tutti frettolosi e spesso di cattivo umore, mentre in Germania c’è più calma e uno stile di vita più tranquillo.  Inoltre è tutto complicato, anche un’azione semplice come cambiare operatore telefonico richiede ore, se non giorni. Sono molto disorganizzati e in tanti negozi vengono assunte persone incompetenti, o quasi, in gran parte giovani e svogliati.Aspettative per il futuro? Una casa a Savona o Finale Ligure.

 

 

Soggetto: Karim Bakry

Paese: Egitto

Fotografo: Michela Guenzani

Intervista di Patrick Ryan

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Mi chiamo Karim Bakry e ho 16 anni. I miei genitori sono entrambi egiziani ma io e mio fratello siamo nati in Italia.Mio papa’ scelse di partire dall’Egitto ancora prima di sposarsi perche’ era affascinato dall’Europa e dalla speranza di una vita migliore economicamente parlando. Preferì l’Italia come paese perché suo fratello maggiore vi abitava già. Decise di partire anche perche’ non trovava un buon lavoro come avvocato, professione per cui aveva studiato.In seguito conobbe mia mamma, si sposarono e vennero a vivere in Italia. Arrivarono in aereo nel 1994.La loro prima impressione fu quella di un paese molto sviluppato e molto bello, ricco di opere d’arte uniche. Ora invece pensano che l’Italia sia un paese che sta attraversando un periodo di crisi.Purtroppo non ho la cittadinanza italiana perché i miei genitori non ce l’hanno e la dovro’ chiedere da maggiorenne.Attualmente frequento il Liceo scientifico Marie Curie e ho diverse ambizioni per il futuro, tra le quali spicca il desiderio di laurearmi, anche se non so ancora in cosa, ed eccellere nel mio campo di competenze.

 

Soggetto: Alessane Diakitè

Paese: Mali

Fotografo: Barbara Spirito

Intervista di Lisa Consolo

 

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Mi chiamo Alassane Diakité e vengo dal Mali. Sono arrivato in Italia nel 2015, dopo aver affrontato un lungo viaggio.Non avevo mai pensato di lasciare il mio paese, ma quando è scoppiata la guerra civile sono stato obbligato ad andarmene. Con molte altre persone ho dovuto attraversare il deserto; è stato un viaggio orribile e se dovessi tornare indietro non lo rifarei mai: preferirei restare e morire nel mio paese. Nel deserto molte delle persone con cui ero sono morte e abbiamo dovuto seppellirle. Successivamente siamo arrivati in Libia; questa è peggio dei campi di concentramento: ti maltrattano, ti sparano ai piedi…Nel 2015, quando ero in Libia per cercare di venire qui, abbiamo assistito al naufragio di un barcone di 500 persone, di cui solo 27 si son salvate. Io fortunatamente non sono salito su quella barca, ma molti dei miei amici sì, ed è stato molto doloroso venire a sapere cos’era successo in mare.A luglio sono arrivato in Sicilia, poi sono andato a Milano e infine a Venegono.Ora vivo a Venegono e qui ho preso lezioni di italiano, dato che quando sono arrivato qui sapevo solo la mia lingua. In Mali avevo preso il diploma al liceo scientifico, ma qui in Italia ho dovuto ricominciare tutto da capo, partendo dal diploma di terza media.

 

Soggetto: Susanna Mikla

Paese: Ungheria

Fotografo: Sofia Martegani

Intervista di Patrick Ryan

 

Ungheria

 

Mi chiamo Susanna Mikla e ho 48 anni. Sono nata in Ucraina da papa’ ungherese e mamma ucraina. Ho vissuto in Ucraina fino al 2012 con i miei due figli Katia e Paolo, che allora avevano 22 e 20 anni. Purtoppo sono rimasta vedova  giovane e per motivi economici sono stata costretta a partire per l’Italia, sperando di trovare opportunità migliori e avendo già dei contatti.Ho scelto l’Italia come meta perché sono sempre stata attratta da questo paese per il tipo di studi che ho fatto, ovvero storia dell’arte e disegno. Sono arrivata in Italia con un pullman nel 2012.La mia prima impressione dell’Italia è stata indimenticabile. Mi sembrava di essere in una favola nel tragitto dall’Ucraina verso Roma, essendo passata per paesini mozzafiato. Arrivata a Roma mi sono innamorata della città, bellissima in ogni suo aspetto. I miei sogni si erano avverati e l’Italia era esattamente come la immaginavo. Dopo un anno mi sono trasferita a Milano dove mi sono trovata ancora meglio.Ora sono sempre innamorata dell’Italia, ma mi sono “abituata” a vivere qui e non la vedo più come una favola. Posso dire però di sentirmi a casa, avendo il cuore sia in Italia che in Ucraina. Ora sono felice di avere una famiglia anche qua. Infatti convivo con il mio compagno Diego da 4 anni.Attualmente lavoro nel settore delle pulizie, anche se sono laureata in arte, un amore che non ho abbandonato perché partecipo a mostre dove sono specializzata come ritrattista. In Ucraina invece insegnavo arte ma gli stipendi sono bassissimi, non essendo gli insegnanti apprezzati dallo stato.Per il futuro mi piacerebbe andare avanti a dipingere e trovare una professione legata ai miei studi, continuando a vivere tra i due stati che amo.

 

Soggetto: Hyeu Mee Lee

Paese: Corea del Sud

Intervista di Matteo Jun Morandi

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Sono nata in Corea del Sud nel 1963 dove mi sono laureata in musica all’Università Nazionale di Seul e sono arrivata in Italia il 28 marzo 1989 per proseguire gli studi di canto lirico presso il Conservatorio di Parma. Appena arrivata, in Italia ho insegnato pianoforte per mantenermi agli studi e poi ho iniziato a lavorare presso le accademie musicali come insegnante di canto lirico. Ora sono concertista ed interprete dalla lingua italiana a quella coreana. In Italia mi trovo molto bene anche perché il ritmo di vita è decisamente meno stressante e più a misura umana. La mancanza di tecnologie e della digitalizzazione dei servizi rende l’Italia apprezzabile come “slow city”.